in Vivere altrove

Lo sciopero delle donne

Venerdì scorso, il 14 giugno, in Svizzera è stato indetto uno sciopero nazionale.(Se questa rubrica fosse letta alla radio, farei qui una breve pausa, per celebrare l’evento, ché nel paese dei referendum lo sciopero non è davvero moneta corrente.)

Come se non bastasse, lo sciopero in questione era uno “sciopero delle donne”. (E la pausa potrebbe a questo punto prolungarsi di qualche secondo supplementare, sempre radiofonicamente parlando). Sì perché la Svizzera non ha mai brillato nel campo della difesa dei diritti delle donne, che hanno potuto accedere al voto solo nel 1971, con 53 anni di ritardo rispetto alla Germania e 26 rispetto all’Italia. Per dire, l’eguaglianza uomo-donna di fronte alla legge è iscritta nella Costituzione Federale soltanto dal 1981 e il congedo maternità è stato introdotto nel 2005.

Dunque le donne son scese in piazza per rivendicare soprattutto parità di trattamento in un Paese in cui lo scarto salariale, è in media del 12%, a parità di esperienza e qualifiche, e sale al 18,7% se si considerano i posti a più alta responsabilità.

Sciopero, dunque, ovviamente “à la sauce Suisse”. Canti, balli, slogan e assorbenti giganti (per protestare contro la tassazione degli articoli per l’igiene femminile), hanno occupato un po’ ovunque le strade in un’atmosfera in cui prevaleva più la gioia di contarsi e ritrovarsi che la rabbia di constatare quanto sia ancora lunga la strada da percorrere.

Un’iniziativa tra tutte mi ha colpito per grazia ed è stata realizzata da uno dei maggiori quotidiani del paese, “Le Temps”. Per mettere in evidenzia l’indispensabile lavoro svolto dalle donne nella redazione e produzione del giornale, il quotidiano è uscito venerdì in una forma incompleta e volutamente imperfetta: lì mancava una foto, là un articolo, là un titolo, una pagina non era stata corretta, un’altra non era impaginata, un’altra era bianca, tout court.

A me piace quando si scompigliano le carte sul tavolo, e in Svizzera le occasioni non sono molte. Fa bene alle certezze troppo certe e alle conclusioni troppo affrettate.

Pubblicato su “La Stampa” il 21/6/2019.

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