in Vivere altrove

Il racconto dell’orizzonte di chi parte e di chi arriva

Abbiamo perso la casa, vale a dire la familiarità della nostra vita quotidiana. Abbiamo perso il lavoro, vale a dire la certezza di essere di qualche utilità in questo mondo. Abbiamo perso la nostra lingua, vale a dire la naturalezza delle reazioni, la semplicità dei gesti, l’espressione spontanea dei sentimenti”. Sono le parole che Hannah Arendt consegnava nel gennaio del 1943 a una rivista, poco dopo il suo arrivo negli Stati Uniti in fuga dalla persecuzione nazista. Otto anni dopo, la stessa Arendt avrebbe aggiunto che la vera “disgrazia” del profugo “consiste nel non appartenere più ad alcuna comunità”, nell’essere espulso dall’umanità stessa.

Nei tempi bui che stiamo attraversando la condizione vissuta e così lucidamente descritta dalla Arendt resta di un’attualità sconcertante. Per i 3 milioni di profughi ucraini, e per gli oltre 80 milioni che fuggono da altre guerre, o dalle loro conseguenze.

Per 16 anni, in questa rubrica ho cercato di raccontare l’altrove di chi parte e di chi arriva. L’orizzonte esistenziale di quanti decidono, per bisogno, semplice desiderio o inattesa opportunità, di lasciare “casa”, per ricostruirsi da un’altra parte. Di questo processo, anno dopo anno, ho cercato di esplorare gli anfratti, esporre luci e ombre, catturare le sfumature. Ho per lo più raccontato una storia intima, personale e non certo drammatica. In più di un’occasione però mi è parso di intercettare una traiettoria collettiva, esperienza non solo di individui, ma di moltitudini. Riconoscere ogni volta queste moltitudini come parte di una sola umanità è la ricompensa più preziosa che questi anni mi lasciano in eredità.

Pubblicato su La Stampa il 25/3/2022

(Ecco l’ultimo Vivere Altrove. Scritto un po’ di corsa e dunque tutt’altro che epocale. Dopo 16 anni, in fondo, la mia “Ballata autocritica”. Grazie ha chi mi ha letto, a chi mi ha sfogliato, a chi mi ha ignorato. E come disse Herr Putzer in Trentino Alto Adige, molto tempo fa: “Tutto ha un fine, tranne il salame che ce ne ha due!”)

Mobilità, libertà, biciclette e lontananza

La mobilità – la possibilità di muoversi là dove si pensa la nostra vita sarà migliore – dovrebbe essere un diritto. Sembra impensabile togliere questa possibilità a una parte dell’umanità (basta guardare indietro alla fissità straziante degli ultimi mesi), almeno quanto sembra impensabile riconoscerla ad un’altra. L’ennesimo paradosso di questa contemporaneità perversa che scambia le […]